LA MEDITAZIONE
- Laura Romagnoli

- 12 feb 2024
- Tempo di lettura: 3 min
"Risvolti clinici ed esperienza spirituale"
In inglese, il termine che letteralmente indica la piena coscienza e la presenza mentale è Mindfulness, una pratica meditativa ad oggi diffusissima nel mondo.

Le radici di questo concetto sono così antiche da rendere molto faticoso, se non impossibile, individuare una precisa cornice geografico-temporale di riferimento. Gli esperti dicono che ci muoviamo su di un ampio territorio compreso tra Cina e Grecia durante un tempo che risale a molto più di 2000 anni fa, quasi 3000 effettivamente in alcuni casi. Innumerevoli, oltretutto, sono le tradizioni che infondono nelle menti dei loro fedeli l'importanza dell'attenzione al respiro profondo che è soffio vitale e attenzione al presente: l'unico tempo in cui noi realmente esistiamo.
Nonostante la complessità dell'argomento, possiamo comunque affermare che la pratica meditativa della Mindfulness per come la conosciamo oggi cresce in modo particolare in seno al Buddhismo e alle sue pratiche contemplative.
PIONIERI D'ORIENTE E D'OCCIDENTE
Lo sviluppo della Mindfulness in Occidente si deve a Thích Nhất Hạnh, un monaco buddhista e attivista per la pace di origine vietnamita vissuto tra il 1926 e il 2022 che fu costretto ad un lunghissimo esilio dal paese di origine a causa delle sua pubblica posizione contraria alla guerra.
Decaduto l'ordine di esilio e dopo quasi 40 anni, Thích Nhất Hạnh poté finalmente tornare in Vietnam dove iniziò il suo periodo di divulgazione tenendo discorsi di fronte a chiunque avesse voglia o curiosità di ascoltare. Così la pratica di consapevolezza attraverso il respiro arrivò a noi come disciplina accessibile a tutti, peculiarità che di sicuro ne favorì (almeno all'inizio) la diffusione.
A Jon Kabat-Zinn, biologo e professore emerito di medicina statunitense, si deve invece il fatto che la Mindfulness abbia assunto valore clinico-scientifico e che sia stato elaborato un protocollo per la riduzione dello stress la cui efficacia è ad oggi riconosciuta in tutto il mondo.
Partendo da una vastissima esperienza personale in ambito meditativo, Kabat- Zinn (classe 1944) era convinto che la meditazione avesse il potere di trasformare il modo in cui le persone affrontano sofferenza e stress. A partire dalla fine degli anni '70, dunque, iniziò a sviluppare il protocollo di cui sopra per introdurre sessioni di meditazione all'interno dei contesti clinici, proponendo l'attività senza alcuna connotazione religiosa.
FOCUS SUL PRESENTE
Avvicinarsi alla Mindfulness scegliendo di sperimentare una nuova pratica quotidiana, significa costruire una relazione con la vita che si basa sulle modalità del proprio essere e non solo del fare. Nel secolo in cui tutto deve procedere alla velocità della luce e il cambiamento esteriore risulta imperativo, prendersi del tempo per accorgersi di respirare diventa probabilmente un atto rivoluzionario.
Osservandoci nel presente, l'unico tempo sul quale abbiamo davvero margine d'intervento, ci riappropriamo del contatto con i sensi e prestiamo attenzione in modo direzionato.
Questo è un processo da non sottovalutare perché la maggior parte delle volte la nostra attenzione, quando lasciata libera di agire, si rivolge verso lo stimolo più interessante a livello adattivo (come ad esempio un rumore assordante che mi allerta rispetto ad un eventuale pericolo) oppure verso quello più accattivante che però non è d'obbligo il più interessante dal punto di vista psichico.
SENZA GIUDIZIO
Tutte e tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo trovati faccia a faccia con la sofferenza e in quelle occasioni potremmo esserci chiesti: "Perché proprio a me?", "Cos'ho fatto di male?".
La pratiche meditative, e dunque anche la Mindfulness, ci ricordano che quelle domande hanno origine nel giudizio, un terreno pericoloso su cui muoversi che ci illude di aver compreso la realtà ma subdolamente ce ne allontana.
La sofferenza è parte integrante dell'esistenza e questo vale per chiunque. Praticare e nutrire la propria consapevolezza senza giudizio, significa credere profondamente che non esistono persone meritevoli del dolore che provano. Dunque quando siamo noi in prima persona a vivere una situazione difficile, sappiamo che non abbiamo necessariamente fatto qualcosa di male per meritarcelo ma stiamo affrontando un passaggio evolutivo.


