SELF OBSERVATION
- Laura Romagnoli

- 19 giu 2023
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 20 giu 2023
Il metodo scientifico applicato su di te
"Ci siamo, stai per iniziare la tua prima esperienza di affiancamento durante una seduta. Tra pochi minuti arriverà il nostro paziente."
"Sì." rispondo io, asciutta.
"Molto bene. Qualsiasi cosa accada, ricordati, tu fai la pianta."

Era la metà del Marzo 2006 e quello fu il giorno in cui imparai a stare con tutto ciò che esiste al di là della mia immediata comprensione prendendomene cura.
La tutor con la quale avrei poi lavorato per i 5 anni a seguire mi insegnò la non-azione, cioè prendere consapevolezza di quanto accade fuori e dentro di noi nel momento stesso in cui sta avvenendo. Nella non-azione, quindi, il sentire prende tutto lo spazio che di solito lasciamo al fare perché soltanto dopo aver osservato con attenzione possiamo dirci pronti/e a muovere il primo passo.
QUATTRO OCCHI
Svolsi il mio ruolo di pianta per i primi sei mesi del mio tirocinio accorgendomi di quanto mi avessero assorbita le parole ascoltate, quelle non dette ancora di più, i gesti, i piccoli movimenti e i tentativi di interazione (da parte di alcuni pazienti) con me che sedevo in disparte per favorire un clima discreto. Al termine di ogni seduta avevo a disposizione un confronto con la mia tutor su quel che avevo osservato e trascritto: mi sentivo come l'acqua delle cascate che scende inarrestabile e che non vede l'ora di formare la sua conca.
Avevo domande a non finire e, per quante riuscissi a porne, altrettante me ne portavo a casa dato che si formavano lungo il percorso.
È questo che accade a guardare con gli occhi fisici e con quelli della mente insieme: ti rendi conto di esistere all'interno di un contesto che si muove insieme a te e la tua anima inizia a danzare.
IL PRIMO PASSO
Oltre a tutti quegli interrogativi, naturalmente, mi seguiva una serie di risposte preconfezionate che a volte esprimevo con l'audacia di chi, fresca di professione e alle prime armi, sente l'impellenza di fugare ogni "pericolosissimo" dubbio e vuole mostrare risolutezza di intenti.
Ho scritto "audacia"? Forse avrei dovuto chiamarla "arroganza" ma a mia discolpa posso dire che sono nata sotto il segno del Toro e per questo mi nutro di stabilità, di strutture durevoli nel tempo mentre la trasformazione e l'incertezza sono gli apprendimenti verso cui è bene per me tendere.
Diventa terreno fertile per i tuoi pensieri.
In quanto esseri umani, per natura siamo capaci di porre l'attenzione su ciò che succede fuori e dentro di noi, e chiamiamo le cose che accadono “fenomeni”. Ne esistono di vario genere, perciò diciamo ad esempio che la pioggia è un fenomeno di tipo atmosferico, che la caduta di un oggetto verso il pavimento è un fenomeno di tipo fisico e che le reazioni emotive agli eventi della vita sono invece fenomeni psichici.
Ogni volta che individuiamo un fenomeno e lo reputiamo interessante, siamo istintivamente portati a chiederci il motivo per cui si verifica e desideriamo anche dare una spiegazione al suo svolgimento.
È così, per esempio, che abbiamo scoperto come sia bravissima la nostra mente a farci dimenticare ciò che ci ha procurato molta sofferenza. Lo scopo di tale dimenticanza, che poi è solo apparente, è difenderci da un dolore considerato dall'intero organismo come insostenibile. Si tratta di un meccanismo di difesa, noi psicologi lo chiamiamo così.
Ma prima di riuscire ad elaborare comprensioni simili a quelle appena citate, è fondamentale compiere un primo passo: osservare. Fare la pianta, avrebbe detto la mia tutor.
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GUARDARE CON INTENZIONE
Osservare significa guardare con attenzione, con una precisa intenzione; perciò osservare un fenomeno durante il suo svolgimento ci permette di raccogliere informazioni su tutte le sue caratteristiche.
Osservare se stessi/e in interazione con l'ambiente circostante, fatto di oggetti, persone, odori, movimenti, ecc., restituisce un senso di appagamento così nutriente che verrebbe voglia di fotografarlo ed incorniciarlo affinché ne rimanga la traccia.
Quella volta in cui, durante una passeggiata, mi sono sentita catapultata esattamente nel punto in cui mi trovavo e mi sono resa conto di essere parte di quell'istante ho provato a descriverlo così:
A metà di una mattina scarsamente soleggiata, si sente suonare il sax sotto i portici.
Nel centro della mia città.
Si vedono le persone passeggiare con andatura disincantata, ancora vacanziera direi, per nulla frenetica. La loro calma è la mia pace.
Nel centro della mia anima.
Sulla via ciclabile c'è un dehors in cui un gruppo di giovani donne e uomini chiamano sorridenti il barista per l'ordinazione. Si sente il profumo della festa che è contagiosa solo a guardarla.
Nel centro dei miei polmoni.
All'incrocio tra la piazza e una via, scorgo sul pavimento segmenti di rotaie in disuso che ricordano il punto in cui una volta, tanto tempo fa, passava il tram.
Nel centro della mia memoria.
Le biciclette intorno a me sono legate a due a due, a volte anche a tre, allo stesso palo. E si vogliono bene dato che, lo sanno tutti, le biciclette hanno un cuore.
Si potessero parcheggiare anche le auto così sarebbe divertente, un poco caotico forse.
Nel centro della mia confusione.
Sulla strada del ritorno il suonatore di contrabbasso sfoggia per me il suo più bel sorriso. Ne ho uno anche io per lui e passo oltre perché le cose intriganti a volte durano il tempo di un accordo.
Nel centro del mio viaggio nel centro di una mia città.


